Manipolazione social presidenziali USA

Manipolazione social delle presidenziali USA, Facebook dovrà spiegare il proprio ruolo.
Cambridge Analytica, società di consulenza inglese specialista in strategie basate sui Big Data, ha svolto un ruolo importante nell’orientare il consenso del pubblico sia nel referendum sulla Brexit che durante l’ultima campagna presidenziale USA, due eventi politici di portata storica.
Avevamo già accennato oltre un anno fa ai legami di Cambridge Analytica con l’entourage di Donald Trump (lo stratega della sua campagna elettorale Steve Bannon è co-fondatore della società) e di come la sua attività di profilazione psicometrica via social aveva impattato sulle elezioni presidenziali più sorprendenti della storia americana.
Ora lo scenario che ha contribuito affinché Trump riuscisse a prender possesso della stanza ovale si sta pian piano delineando, sia per quanto concerne Russiagate sia, quel che qui interessa, con riguardo alla presunta strumentalizzazione dei social network.
L’ex data scientist di Cambridge AnalyticaCristropherWylie ha confermato – qui la videointervista al Guardian – che i dati di 50 milioni di utenti Facebook americani sono stati raccolti ed utilizzati per manipolare gli elettori tramite una sapiente opera di politicaladvertisement personalizzata e targettizzata: “Abbiamo sfruttato Facebook per raccogliere i profili di milioni di persone. E abbiamo costruito modelli per sfruttare quello che sapevamo su di loro e per prendere di mira i loro demoni interiori “.
Tutto è partito da un app analitica che 270.000 utenti hanno acconsentito ad utilizzare quasi per gioco, una sorta di personality test: “fatti profilare e ti dirò chi sei”. Sennonché l’app, lavorando in background, ampliava la raccolta dati ai profili social degli amici dei soggetti consenzienti, e in poco tempo 50 milioni di persone sono finite nel campo d’indagine.
L’algoritmo impiegato su larga scala definiva la personalità degli utenti con dettagli su razza, religione, inclinazioni su argomenti topici (immigrazione, armi, aborto, genetica, sicurezza, welfare, etc.) analizzando ogni singolo post, Like e Share, correlando il tutto con la posizione geografica (quartiere ricco, povero, a determinata maggioranza etnica, etc.), il network di amici, ed altri elementi. Il medesimo algoritmo associava poi ad ogni singolo profilo socio-psicologico i messaggi politici mirati da veicolare al singolo elettore tramite social banner o volontari alla porta di casa.
Il problema è che a questi 50 milioni di cittadini non era stato chiesto il consenso per un simile utilizzo dei loro dati. Di più, essi erano totalmente ignari di essere spiati e di essere oggetto di messaggi personalizzati; non sapevano di essere manipolati.
In tutta questa storia, Facebook ha sempre assunto la parte del soggetto strumentalizzato. Al punto che venerdì scorso il tech-giant di Menlo Park ha emanato un comunicato in cui annunciava la sospensione di Cambridge Analytica dal social network per violazione delle regole della piattaforma.
Ma qualcuno non sembra credere al candore professato da Facebook. La senatrice democratica del Minnesota AmyKlobuchar, che è anche membro della Commissione Giustizia, chiede – leggi qui sul NY Times di ieri – che Mark Zuckerberg in persona si presenti davanti alla commissione per spiegare “cosa Facebook sapesse circa l’utilizzo improprio dei dati di 50 milioni di americani finalizzato all’invio di messaggi politici mirati e a manipolare gli elettori ”.
Sabato scorso il procuratore generale del Massachussets ha preannunciato con un tweet che aprirà un’indagine perché gli abitanti del suo stato “meritano di avere risposte immediate da Facebook e Cambridge Analytica ”. Ritiene necessaria un’investigazione anche il congressman democratico Schiff, membro della Commissione Intelligence che si occupa anche delle indagini sulle interferenze del Cremlino nelle elezioni 2016: “Facebook deve spiegare se e come aveva informato preliminarmente gli utenti sul fatto che i dati sarebbero stati trasferiti a terzi per simili finalità ”.
Anche in Inghilterra vogliono vederci chiaro. Cambridge Analytica era dietro il successo della campagna social Vote Leave ritenuta cardinale per la vittoria del fronte anti-europeista guidato dallo Ukip di Nigel Farage (puta caso, amico di Steve Bannon). Damian Collins, il membro (bene sottolinearlo) conservatore a capo della commissione parlamentare che si sta occupando del fenomeno fake news e di eventuali influenze russe nel referendum che ha decretato la Brexit, ha annunciato – leggi qui sul Guardian – che chiamerà a testimoniare sia il capo di Cambridge Analytica che Mark Zuckerberg. Collins in tempi recenti ha già sentito esponenti di Facebook riguardo le questioni di cui si sta occupando la sua commissione, ma questa volta esige che sia il CEO a deporre assumendo in prima persona la responsabilità delle risposte: “Non è accettabile che mi mandino, come fatto in precedenza, testimoni che scansano le domande scomode affermando di non sapere come funzionano le cose ”.
Il sospetto è che Facebook fosse al corrente di tutto sin dalla fine 2015 e che non abbia fatto molto affinché gli utenti non fossero indebitamente manipolati da una società di consulenza al soldo di un think tank conservatore di respiro internazionale.